
L'éclair di una Rivelazione
Dobbiamo a J.-L. Marion una riflessione importante sul tema della Rivelazione. Questo saggio si confronta con la sua proposta e ne ripercorre alcuni momenti cruciali. Il punto di vista però è differente e si potrebbe riassumere in questo modo: una Rivelazione non è tale se non assume il carattere di una ripetizione intensiva. La ripetizione intensiva dispiega lo statuto formale di ciò che dovremmo intendere per Rivelazione. Uno statuto formale che rende questa ripetizione sempre una modalità intensiva, nella modalità di una re/istituzione. Se esprimessimo questo con il linguaggio dell’intelligenza teologica diremmo che una teologia della Rivelazione non è ben compresa se non a partire da una teologia della creazione. Una ripetizione intensiva non è che il corrispondersi, in una reciproca conferma, di una teologia della creazione e di una teologia della Rivelazione. Questo saggio esce in contemporanea con uno studio di Massimo Donà, pubblicato sulla stessa collana e dedicato anch’esso a Jean-Luc Marion, in vista di una discussione possibile con il filosofo francese.

Questa ricerca prende avvio da alcune affermazioni di Jean-Luc Nancy sull’essere-in-comune. Affermazioni dirompenti che restano però sospese e senza uno svolgimento radicale e coerente con le intuizioni fondamentali da cui provengono. Il loro punto di convergenza e di tensione teorica si può riassumere in questo modo: la comunità esige una figura teorica e una figura della prassi che sospenda e abbandoni la categoria del possibile. La comunità esige inoltre un pensiero estraneo a una certa utopia temporale, così come esige un’estraneità e un forte attrito con la logica dell’evento. Nancy ci lascia in eredità un’ontologia ineventuale e una singolare etica dell’im/possibile in cui la nozione di comunismo prende una nuova luce rispetto alle tradizioni dominanti della filosofia del politico della tarda modernità.

Nella trama di questa ricerca uno dei fili più tenaci insiste su una certa simultaneità del reale e della relazione. Al di là di un certo idealismo e di un certo realismo il reale accade, nella modalità di una singolare ipostasi, nel “tra” di una relazione. Intorno a questo nucleo teorico diverse nozioni rilevanti nella nostra tradizione si trovano a oscillare sul proprio asse e mutare fino a cambiare statuto. Perde rilievo la macchina concettuale che si sviluppa nella distinzione tra empirico e trascendentale, tra essere ed ente, tra essenza ed esistenza. Diventa necessaria una nuova radicalità sulla natura del sentire e del sensibile. Si impone di pensare in nuovo modo l’unità di intuizione categoriale e intuizione eidetica. L’evidenza obliqua di un orizzonte – con le varie declinazioni con cui essa opera in tanti rami dell’invenzione filosofica – smette la sua centralità. Lo stesso campo dell’impersonale, così assiduo nella reazione al soggetto sovrano nell’ultimo secolo, incontra una reazione teorica nella logica della scena del dato, nella dissociazione tra un io e un soggetto, nella simultaneità di un altro e di un dato.1

In questo saggio si intrecciano più fili intorno al tema complicato della relazione.
Come interrogare, ancora una volta, il tra-noi? Il tratto in cui siamo tra-noi?
Quando accade una relazione tra l’io e il tu, tra l’io e l’altro? Tra le premesse e i pregiudizi di questa ricerca c’è una particolare stanchezza, persino insofferenza, sui temi dell’alterità, così come si sono affermati in questi ultimi decenni. C’è insofferenza per tutta la retorica che ha preso a circolare sui temi dell’altro, del volto, dell’ospitalità, di un certo messianismo. Naturalmente nessuno può oscurare l’enorme contributo che questa irruzione dell’altro ha portato nei vasti domini dell’ermeneutica e della fenomenologia. Tuttavia non possiamo negare l’indigenza teorica che si è allargata proprio laddove l’uno-l’altro fanno incontro o confinano nell’incontro. Quel tratto dell’incontro si è dileguato nella metafora di una linea che non presenta alternativa all’irruzione traumatica o al semplice confine.

Il parergon è un altro modo per dire lo stilema di un ente o di uno stato di cose. Richiama semplicemente la nozione di stile o di ornamento. Come asserisce Kant nella Critica del giudizio, non si dovrebbe mai confondere il parergon con una banale decorazione.
Il saggio interroga la necessità di questa singolare conformazione e il suo rapporto immanente con la nozione tradizionale di sostanza, di forma o eidos. Interrogare con una certa radicalità questa formalità significa attraversare il legame del tra-noi e l’emergenza stessa della prossimità . Significa anche riconoscere l’immanenza tra fenomenalità e datità , ancora più precisamente tra datità e esteriorità , tra esteriorità e realtà .

"La logica di un evento d'eccezione dovrà situarsi nella speciale convertibilità di un ritiro e di un inizio. Costringerà a pensare l'inizio in un certo ritiro e il ritiro in una speciale esposizione. Vedremo che un ritiro non sarà mai tale se non potrà esporsi nella suaritrazione. Vedremo che sarà indispensabile liberare il ritiro da ogni evidenza di presenza e d'assenza. L'evidenza di una presenza o di un'assenza segna infatti sempre un particolare contrattempo, un inevitabile anticipo o ritardo sull'evento d'eccezione.Ritiro, inizio ed esposizione si ritroveranno in un orizzonte univoco, convertibili l'uno nell'altro. Nel ritiro esposto come nome per un evento d'eccezione si farà scena inoltre la difficile complicazione di una libertà e di una possibilità. Questa edizione arricchisce la precedente con l'introduzione di alcuni capitoli e di un'ampia introduzione".

La comunità s-velata.
Questioni per Jean-Luc Nancy,
Guida, Napoli, 2010, pp. 200.
In questi studi si fa reagire Nancy verso Derrida e Derrida verso Nancy. Di Jacques Derrida si riprende la forza dell’arte della decostruzione nei confronti della scena dell’opera della filosofia; anche della filosofia che invita ad abbandonare il senso di ogni principio, origine o fondamento, sia esso presente o abissalmente ritratto. Vedremo che non è facile per Nancy sottrarre gli enunciati ontologici in cui tenta la riforma del Dasein a una certa insidia di Derrida. Di Nancy invece faremo reagire, fino all’enfasi, una particolare idea e pratica dell’esposizione di un corpo senza veli. Ci chiederemo come riguardi la questione della comunità, del luogo di tutti e di ciascuno, se possa rinunciare del tutto ad una certa fenomenologia, se non abbia qualcosa di decisivo da dire proprio su quella legge della legge che manca all’evento che
costituisce, in cui Derrida, per meno di un istante, fa balenare la chora o la spaziatura della diffèrance.
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L'evento esposto come evento d'eccezione, Inschibboleth, Roma, 2012, pp. 243.
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La logica di un evento d’eccezione dovrà situarsi nella speciale convertibilità di un ritiro e di un inizio. Costringerà a pensare l’inizio in un certo ritiro e il ritiro in una speciale esposizione. Vedremo che un ritiro non sarà mai tale se non potrà esporsi nella sua ritrazione.
Vedremo che sarà indispensabile liberare il ritiro da ogni evidenza di presenza e d’assenza.
L’evidenza di una presenza o di un’assenza segna infatti sempre un particolare contrattempo, un inevitabile anticipo o ritardo sull’evento d’eccezione. Ritiro, inizio ed esposizione si ritroveranno in un orizzonte univoco, convertibili l’uno nell’altro. Nel ritiro esposto come nome per un evento d’eccezione si farà scena inoltre la difficile complicazione di una libertà e di una possibilità .

La decostruzione di Jacques Derrida può forse trovare un suo esemplare nella tecnica dello struzzo per mettersi al riparo dai pericoli narrata da Jacques Lacan, in un commento a una celebre novella di Edgard Allan Poe. " (...) esso, scrive Lacan, meriterebbe di essere qualificato come animale politico, per il fatto di ripartirsi in tre partners, il secondo dei quali si crede rivestito di invisibilità per il fatto che il primo ha la testa affondata nella sabbia, mentre lui lascia che un terzo gli spenni tranquillamente il didietro". In qualche modo la decostruzione e il suo gesto attraversano il lavoro del terzo di questi partners.

Note , appunti e variazioni dell'attualismo, Ets, Pisa, 2004, pp. 264
La tesi centrale del volume si può riassumere in questo modo: l'attualismo rivendica una compatibilità speculativa con l’esperienza cattolica. Il tentativo di questo studio è quello di mostrare sul piano delle implicazioni e delle pure coerenze speculative se questa rivendicazione possa avere una giustificazione nell’ambito della storia delle idee e dell'evoluzione dei concetti filosofici e teologici. Nel corso del saggio si sviluppa poi un costante confronto con Heidegger e si prova a rendere conto delle prossimità e soprattutto delle differenze. La conclusione è che Gentile e Heidegger vadano collocate due distinte curve della reazione della cultura conti-
nentale alla Krisis dei primi decenni del Novecento.

La tesi principale del volume è che il giovane Heidegger assuma una serie di riferimenti teoretico-filosofici del tutto estranei (estranei da molte generazioni di concetti) alle prove più originarie della teometafisica medievale. E tutto questo ha importanti conseguenze nella rilettura dei trascendentali scolastici (... con importanti ricadute sulla ricostruzione più matura della tradizione ontoteologica dell'Occidente).

Il Testimone del Circolo. Note sulla filosofia di Levinas, FrancoAngeli, Milano 1996, pp. 225.
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Il saggio si sofferma sull' opera matura di Emmanuel Levinas e insiste su un difficile problema, ereditato da Kierkegaard e Rosenzweig, che trova una formulazione esemplare proprio in Altrimenti che Essere: «Ma che cosa si mostra, sotto il nome di essere, nella verità ? E chi riguarda?».
Colui che è riguardato può essere considerato una «quantità trascurabile»? Problemi che si collocano al vertice delle sfide di Levinas e al centro di molte e delicate vicende teoriche, Fino a coinvolgere la natura della domanda, il suo movimento, lo stupore e l'appello che ne animano la vitalità e la forza. Una certa tradizione, sostiene Levinas, non può che condurre la domanda
e colui che la sostiene verso un prosciugamento e una paralisi, con conseguenze radicali sulla stessa avventura teorica.

La metafora della scena non compare nei testi hegeliani.
Tuttavia noi l'adotteremo come una delle principali chiavi di approccio alla problematica fenomenologica. Ci pare che abbia il privilegio di avvicinarsi in una prossimità sufficiente ad indicare la principale conquista degli anni di Jena. Un luogo cioè in cui si sviluppa un movimento in cui chi compare sulla ribalta è evidente e presente solo per la scena in cui compare, la quale però, non e' un'apertura anonima, ma è scena solo per l'animazione da cui è coinvolta.
Questo gioco complicato descrive, cosi ci pare, l'intenzione fondamentale d'osservare la Fenomenologia dello spirito da un angolo per certi versi privilegiato.