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  • 19 dic 2024
  • Tempo di lettura: 1 min

In Posizioni Derrida si esprime in questo modo rispondendo a una domanda: “In primo luogo, dif/ferenza rinvia a un movimento (attivo e passivo) che consiste nel differire (...)”p. 47. L’interprete non dovrebbe sorvolare con noncuranza sulla potenza intransitiva di quell’ossimoro attivo-passivo. Una attività che si annulla in una passività e una passività che si annulla in una attività esprime in altro modo il luogo im/presente della différance. Esclude che la sua evidenza inevidente possa mostrarsi nell’attitività di un differirsi di qualcosa, come quando si afferma ad esempio A è differente da B o A si differisce da B,  o anche, ancora, A si differisce in un B, come se questo differire fosse nell’attività di un reciproco delimitarsi o del delimitarsi dell’uno rispetto all’altro. Come se la différance fosse nel relarsi di due momenti e avesse in questi relati il suo coefficiente di evidenza. Come se l’evidenza del differire fosse un’auto evidenza data dai relati differenti. Quando Derrida esclude l’attività dal differire più o meno direttamente esclude, deve escludere, questo genere di differire. Esclude che la différance sia l’attività dei differenti. Lo esclude poiché questa attività dei differenti è uno dei miraggi della metafisica. Accade alla metafisica poiché il suo gesto inaugurale e la sua forza costituente non vedono ciò che non è presente in alcun luogo, così in questo caso non vede il luogo senza presenza di questa differenza di A e B. Non vede l’im/presente di questa presenza differenziale. Vede l’attività differenziale mentre non vede o nasconde l’inattività, l’intransititività né attiva né passiva per cui A e B sono differenti

 
 
 
  • 17 dic 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Leggiamo con attenzione questo prezioso passaggio di Derrida: “Essa (la Lettera) non si troverebbe, potrebbe sempre trovarsi, si troverebbe in ogni caso più che nella scrittura sigillata di cui il narratore racconta la storia decifrata dal Seminario, più che nel contenuto della storia, “nel” testo che si sottrae, su un quarto lato, sia agli occhi di Dupin che a quelli dello psicanalista” (p. 57)

La lettera dunque non è in vista, alla portata di veduta, né di Dupin né dello  psicanalista che in fondo aveva offerto la propria veduta a Dupin. Il ministro di questa famosa novella non aveva in alcun modo la veduta per questa lettera. La lettera che egli aveva notato aveva il segno della lettera velata, o meglio della lettera svelata dal suo essere rivoltata dalla mano della Regina. Egli dunque è concentrato sul segreto nascosto nell’economia metafisica dello svelare. Dupin sembra avvicinarsi maggiormente alla veduta di ciò che è in vista. Si avvicina maggiormente al luogo tanto presente da risultare im/presente. Egli trova la lettera laddove non è nascosta, secondo un procedimento a cui proprio Heidegger forse non è riuscito a restare fedele all’estremo e cioè l’essere dell’ente come il non nascosto. Un non nascosto che si dovrebbe saper dissociare in ogni modo da ogni presenza e da ogni assenza. Dupin dunque guarda laddove non c’è nascondimento, laddove qualcosa non è celato alla vista, tanto in vista da costituire il punto cieco del visibile. Tuttavia lascia capire Derrida, Dupin viene come sovraiscritto dallo sguardo dello psicanalista, il quale localizza il più in vista tra gli stipiti del camino, quindi il più in vista torna ad essere il più in vista di ciò che manca  e il ciò che manca localizza la lettera. Per questo gli occhi di Dupin si flettono come gli occhi di Lacan e il testo letterale, la lettera del testo gli si sottrae come egli dice “su un quarto lato”.

Andrebbe presa molto sul serio questa iperbole del quarto lato. questo quarto lato che farebbe evidentemente da orlatura o cornice invisibile di tutto ciò che si offre in due o tre lati. 

Il testo che sottrae si troverebbe sul quarto lato laddove una certa performance incornicia come una scena un soggetto, un oggetto, e la stessa copula con cui si fa legame.

 
 
 
  • 16 dic 2024
  • Tempo di lettura: 1 min

La scena-cornice im/presente della différance, questa scena che sarebbe ogni volta preclusa se non nominasse al contempo una certa performance di un narrante senza autore, va sottratta in ogni modo all’economia del velamento-svelamento. Non è mai sicuro che questa economia abbia interpretato fino in fondo l’intenzione più radicale di Heidegger e tuttavia quando prevale, se prevale, segna uno dei luoghi più resistenti per una decostruzione. Una différance non è tale se ha a che fare con questa economia di un velo svelante. ll buco lacaniano a volte fa la mimica dell’essere dell’ente heideggeriano, e il buco d’essere di entrambi sembra dato come svelarsi dell’ente. In vario modo l’ente si offre nel bordo del niente, in vario modo lo svelarsi è sempre un bordeggiare dell’ente nel niente. Lo svelarsi non è alla fine nient'altro che ni-ente in cui un velo fa da svelamento dell’essere dell’ente. 

Se c’è qualcosa di decisivo per l’interprete di Derrida è il fatto che la différance viene fraintesa se diventa il bordeggiare del niente dell’ente. Il suo bordeggiare dell’ente non nomina la dialettica fatale di essere /niente. Soprattutto non nomina la scena limite del suo accadere come il ni-ente dell’ente, si rifiuta o resiste alla modalità di questo ritiro e al segno che lascia in un velo s/velante. 




D I A R I O M I N I M O

Il blog pubblicherà, senza troppa regolarità, frammenti, piccoli aforismi, passaggi testuali significativi ed emblematici della ricerca del momento, a volte di una lettura o della scrittura del giorno. Più raramente potranno comparire commenti brevissimi a episodi singolari della cronaca sociale e politica.




 
 
 
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